domenica 12 luglio 2015

ATTENZIONE: il blog cambia casa!

E' con un pizzico di malinconia, dopo 6 anni di fedeltà a Blogspot (dite che ce la danno la carta fedeltà??), che annuncio quanto segue: il blog cambia trucco e parrucco e trasloca in uno spazio tutto suo! 

Il battesimo del mio nuovo sito è avvenuto qualche giorno fa: si chiama Ume sapiens, proprio come l'albicocca umeboshi, simbolo di forza, benessere e guarigione. Per questi motivi l'ho scelta per rappresentare il mio nuovo spazio (è suo il fiore che vedete nell'header, provvisorio).

Pasticci Patapata è carino e simpatico, mi ha portato tante soddisfazioni, mi ha fatto conoscere (anche dal vero) persone meravigliose che mai avrei potuto incrociare per caso; ma questo blog non è più rappresentativo di ciò che propongo - cucina naturale alias macrobiotica. 

Invito tutti (ma proprio tutti!) a cliccare qui sotto e venirmi a trovare su Ume sapiens
Vi chiedo solo un pochino di pazienza in questi giorni di assestamento, ma la buona notizia è che ho esportato l'intero Patapata-blog, equindi ritroverete tutti i post anche di là, indicizzati e facilmente reperibili.

Spero di incontrarvi e leggere i vostri commenti, lo spero davvero.

Un abbraccio a tutti, a presto!

Zy 
(ex Patapata)

http://www.umesapiens.com

martedì 23 giugno 2015

Zaru soba (soba fredda con salsa tsuyu)

Le cose belle, così come quelle brutte, arrivano sempre tutte insieme. Travolgono la tua vita come uno tsunami, dopo mesi o anni di calma piatta, in attesa di qualcosa che non viene mai, pietrificata dalla paura di fare un passo troppo lontano da quell'isola di sicuro conforto.

L'oroscopo di gennaio già iniziava con "Gli intuitivi Pesci non saranno contenti dell’oroscopo 2015 nella prima metà dell’anno..." ; e forse un po' ci ha azzeccato. Ma quel tappo che ha impedito alle energie positive di fuoriuscire dalla bottiglia, deve essersi stappato tutto d'un colpo. Ora mi trovo nel mezzo di un vortice, fra lavoro, proposte, idee, persone e nuovi legami: devo solo decidere di fare il passo, per lasciarmi trascinare.

zaru soba

venerdì 5 giugno 2015

Tortine al nettare di mirtilli con bacche di goji: profumo di avventura

I mirtilli hanno per me odore e sapore di vacanza, vita all'aria aperta e famiglia. Da piccola trascorrevo ogni vacanza in Valsassina con mamma, papà e sorella. Eravamo dei veri montanari degli anni '90: calzettoni di spugna, magliette della Yomo, cappellini dell'oratorio, scarponi tramandati di madre in figlia, di zia in nipote, di cugina in cugina, di sorella in sorella e via così.
Camminavamo anche tutto il giorno, pasteggiavamo a polenta e stufati negli alpeggi, prendevamo acquazzoni, senza stress né inutili preoccupazioni (mai preso un raffreddore). Sapevo riconoscere le piante di ortiche, more, lamponi e mirtilli, sapevo che le fragoline che guardano all'insù non son buone da mangiare. La sera costruivamo e decoravamo fionde con i rami trovati sul sentiero, in inverno mettevamo bucce di mandarini sulla stufa.

Chissà se queste cose si fanno ancora negli anni 2000? 

Tortine vegan al nettare di mirtilli con bacche di goji

giovedì 28 maggio 2015

Taboulé di bulgur con taccole, ravanelli, edamame e semi di girasole

Qualche volta vorrei avere più tempo per fare ancora più cose. Sono tremendamente severa con me stessa quando non riesco a fare tutto quello che mi ero prefissata, mi sento a terra, come dopo la sgridata della maestra delle elementari, quando scopri di non essere più nella rosa dei suoi preferiti. Se solo la giornata fosse fatta di più ore, la settimana di più giorni e il mese durasse una settimana in più... 

taboulé di bulgur con taccole, ravanelli, edamame, semi di girasole


Ma poi mi regundo: se la giornata durasse 18 ore, se le mie gambette mi reggessero in piedi, se il sonno non mi prendesse alle 9 di sera e se la mia voce non mi abbandonasse dopo cento discussioni, sicuramente ne vorrei ancora di più. Senza accorgermi riempirei quelle ore rubate e non mi basterebbero mai. 

Così, finché non trovo il modo di essere professionalmente multitasking, il blog è solo un angolino di stoffa avanzato dall'opera di patchwork quotidiana. Così i pasti sono sempre più semplici -buoni ma poco "visual" - magari le pappette di cereali ve le mostro un'altra volta eh...
 
Anche questa insalata di bulgur è semplicissima e rapida da fare, ma allo stesso tempo è ben lontana dalla classica misticanza di verdure da portare in ufficio, che di certo non vi farà stare allegri e pimpanti dietro la scrivania. Senza la benzina (quella giusta per noi però) non andiamo lontano.
In effetti si trattava della mia schiscetta di qualche giorno fa, perché gustata a temperatura ambiente è ottima. Se c'è una cosa che non sopporto (una sola?!?) è mangiare freddi i piatti originariamente concepiti come "caldi" (tipo stufati, risotti etc). 
Questa qui è un'ottima insalata da portarsi appresso: il cereale costituisce sempre l'ingrediente principe, qualche legume nutriente, ovviamente verdure in abbondanza, in parte scottate e in parte crude per rinfrescare, e infine i semi tostati, un giusto apporto di grasso. Il condimento è infatti senza olio. 
Diciamo che, in vista dell'estate, l'ho pensata anche un po' per voi lucertole inside, che nella pausa pranzo fra una rosolatura e l'altra - ma come fate?! :)
 
 

Taboulé di bulgur 

con taccole, ravanelli, edamame e semi di girasole

1 T di bulgur integrale
2 T di brodo vegetale (o acqua leggermente salata)
4-5 ravanelli
7-8 taccole
1/2 T di edamame scottati 3 minuti
3 C di semi di girasole
2 C di tamari
1 limone
1 c di senape all'antica
qualche fogliolina di mentuccia fresca


Preparare il bulgur: lavarlo e tostarlo leggermente in una casseruola. Aggiungere il brodo vegetale caldo (salato poco) e bortare ad ebollizione. Nel frattempo pulire bene le taccole, sistemarle nel cestello per la cottura a vaporee sistemarlo sopra al bulgur. Per accelerarne la cottura, poiché il cereale è pronto in circa 10 minuti, ho tagliato le taccole in 3.
Una volta assorbita tutta l'acqua, spegnere il fuoco e lasciare coperto a intiepidire.
Tostare i semi in una padella di acciaio, quando si saranno scuriti spegnere il fuoco e versare il tamari, girando immediatamente con un cucchiaio di legno, per evitare che attacchino tutti sul fondo della padella rovente. Tenere da parte.
Affettare il ravanello sottilmente e tagliare le taccole a tocchetti.

Mescolare tutti gli ingredienti in una ciotola, consire con un'emulsione di senape e limone, i semi tostati e la mentuccia tritata finemente.



 

lunedì 18 maggio 2015

Orecchiette integrali, crema di asparagi e tofu affumicato

Sciuè sciuè, semplice e saporito, il piatto forte della domenica denoantri che, a differenza delle nostre nonne e mamme, preferiamo di gran lunga una passeggiata o un'uscita appena appena fuori porta alla corsa agli armamenti per il pranzo della domenica. 

Magari con il tempo e la famiglia che si allarga e si allontana, cambierò anche io. Chissà. 

Per il momento vince la semplicità, perciò eccolo qui, il nostro piatto di una domenica di primavera, ottimo anche tiepido.

Avvertenza per chi non si intende di tofu e prodotti simili: 
in quanto a consistenza, non è simile a nulla che sia familiare ai vostri palati, ma per quanto riguarda il gusto, lo devo dire... per quanto mi ricordi, sembra speck!!!! Perciò si potrebbe interpretare questa pasta come una carbonara vegetale, per voi che amate tanto veganizzare i piatti della tradizione :)



giovedì 7 maggio 2015

Salame di carruba... con il trucco

Ho ricordi piacevoli legati a questo dolce, ovviamente nella versione classica con biscotti secchi, cioccolato, zucchero, burro, burro, burro, e trallallà. Il salame di cioccolato, o salame dolce, era il preferito della mia migliore amica, compagna di furbate dei tempi delle elementari. Ricordo che sua mamma lo preparava spessissimo, in ogni stagione e per ogni occasione: per il veglione di Capodanno, dopo il pranzo della domenica, per il compleanno della sua bambina in agosto -sprezzante del caldo porco- , tutti gli anni per la festa dell'oratorio... Il dolce delle feste comandate.

Noi non l'abbiamo mai preparato a casa nostra, non lo mangio da almeno 15 anni e non riesco nemmeno a ricordare se mi piacesse davvero, o se semplicemente mi limitavo a mangiarne una fetta giusto perché, sotto mentite spoglie burrose, conservava ancora un po' di aroma di cioccolato - da sempre la mia malattia.

Davvero, non cosa ci si può trovare di allettante in un salsicciotto unto e bisunto al sapore di burro freddo di frigorifero, mattonella tanto agli occhi quanto al palato, allo stomaco e fermiamoci qui, vah...!

Innegabilmente però rappresenta un must delle feste di compleanno degli anni '80 e '90, forse anche prima. Oggi, per fortuna, abbiamo voltato pagina. Non è più chictrendy, è retro, non fa appetizing ed è tutto tranne che light. Per una volta, il linguaggio pretenzioso dei cooking shows viene in mio soccorso. 


Bene: dopo aver demolito il mito di tutti gli ex bambini d'Italia, ecco che ve lo propongo qui, in un blog di cucina naturale...ma badate che c'è il barbatrucco - anzi, i trucchi.

Innanzitutto, al posto del cacao ho usato la carruba, un ingrediente abbastanza nuovo per me, che ho amato da subito. Non è che non usi il cacao in assoluto, ma trattandosi si un prodotto estremamente stimolante, oltre ad essere un frutto tropicale, mi ha portato alla scelta di limitarne l'uso a occasioni eccezionalissime. La carruba lo sostituisce nelle stesse dosi, ha lo stesso colore e ne ricorda un po' il sapore, tranne che è meno amara e più dolce. Mi piace da impazzire come bevanda, nel cappuccino di soia.

Inoltre, niente biscotto per questo salamotto! Ho pensato che la caratteristica del salame è quella di essere sempre umido, perciò è inutile andare a cercare a tutti i costi ingredienti secchi per poi doverli bagnare con un sacco di olio e dolcificante... Mi occorre quindi un ingrediente che mantenga la sua umidità senza essere pieno di grassi... Lampadina: il pane di segale!! Mi sembra quasi impossibile che nessuno ci abbia mai pensato prima, è assolutamente perfetto per questo tipo di ricetta! Senza contare che il sapore lievemente acidulo smorza il dolce del malto.

Ovviamente non ho usato lo zucchero

Non so se questa versione del salame di carruba diventerà un must delle mie feste comandate, ma di certo per me è una scoperta epocale!!! Vai di salame!!!



Salame di carruba
con pane di segale

50 g di nocciole tostate
100 g di malto di riso
3 C di carruba in polvere
un pizzico di sale
un pizzico di vaniglia bourbon
2 C di succo di mela (facoltativo)

La preparazione è velocissima, basta solo conservarlo almeno un'oretta in frigorifero per fargli prendere bene la forma e compattarsi.
Frullare il pane di segale al mixer insieme a metà delle nocciole, il più finemente possibile. Aggiungere nel boccale la carruba setacciata, il sale e riprendere a frullare, In ultimo, il malto di riso. Se non si forma una "palla" perché è troppo asciutto, allora aggiungere uno-due cucchiai di succo di mela o anche acqua. Per me è già abbastanza dolce così, senza l'aggiunta di altro malto. 
Mescolare il tutto con le nocciole rimaste, tritate grossolanamente.

Versare tutto su un piano di lavoro e  fare la forma del salsicciotto, avvolgere ben stretto nella pellicola e lasciare in frigorifero per almeno un'ora prima di tagliare a fette.
 Servire a temperatura ambiente.






venerdì 1 maggio 2015

Veg&Beer #5 Frittura di fiori di sambuco, tempeh e birra acida Gueuze 100% Lambic bio

...metti insieme tempeh fritto e birra acida e hai fatto la felicità del tuo palato. 
Entrata prepotentemente nella top 3 delle mie birre preferite, finalmente ho trovato un abbinamento degno di lei.

Fritture di tempeh e fiori di sambuco con Cantillon Gueuze 100% Lambic BIO
 D'accordo, la birra acida non è per tutti i palati, ma se uno è abbastanza abituato a bere birra e vino di qualità, è alquanto improbabile che non apprezzi questo miracolo del Pajottenland. Cantillon è uno storico produttore belga di birre a fermentazione naturale, cioè senza inoculo di lieviti da alta o bassa fermentazione. Gran parte del merito di quel suo sapore caratteristico ed amabile è dovuto ai microrganismi presenti nell’aria. A questo proposito, circolano storie bizzarre circa la dubbia salubrità del laboratorio dove avviene il miracolo chiamato Gueuze... ma qualunque sia il segreto della Gueuze, va bene: con o senza topi!!

(..scherzo eh!)


Tutte le birre di Cantillon sono piccoli capolavori, ma devo dire che questa in particolare ha tutta - ma proprio tutta - la mia stima: una vera birra biologica, non di quelle finte bio o che pure di essere bio mancano di personalità. Questa qui è una birra macrobiotica, eccome!! Biologica, senza zucchero, senza lievito ma fermentata naturalmente con microrganismi presenti nell'aria...
Insomma, s'è capito che per farmi felice basta una Gueuze Lambic Bio?

Passiamo alla scheda tecnica, per chi mastica/sorseggia l'argomento:


Gueuze 100% Lambic Bio
Birrificio Cantillon - Bruxelles 
5.0%vol
Colore rosso arancio. L'assemblaggio di lambic giovani e lambic mature le donano un profumo di uva ed un gusto acidulo, fruttato ed allo stesso tempo secco e ripulente, che la rende idonea ad essere gustata sia come aperitivo che come birra di chiusura in una serata di degustazione.
(Fonte: www.birraland.it)





Ora, la regola per non sbagliare con gli abbinamenti, è che il sapore acido va a braccetto col grasso. Per questo motivo si sentono sempre consigliare taglieri di formaggio con la birra. Ma qui "chez Patapata", dove di formaggio non se ne mangia, ma in compenso abbiamo un po' più di fantasia, proponiamo un felicissimo matrimonio: birra acida e tempeh fritto. Un altra meraviglia del mondo della gastronomia, il tempeh è molto grasso, trattandosi di fagioli di soia (soia = 40% grassi, ma di quelli buoni, insaturi). Oltre ad essere buono per la salute, è pure lui un prodotto fermentato naturalmente: tempeh VS formaggini  2 - 0.


Infine, visto che siamo in primavera, visto che la Brianza abbonda di questi fiori e che proprio stamattina li abbiamo trovati nei campi, ho pensato di arricchire di profumi e alleggerire il piatto con una fritturina di fiori di sambuco. Ovviamente pastella di lievito madre, ça va sans dire


Frittura di fiori di sambuco e tempeh 
con birra acida Gueuze 100% Lambic bio

Per due porzioni

200 g di tempeh bollito in brodo di shoyu e zenzero
1 C di farina di riso
4 o 5 grappoli di fiori di sambuco freschi
50 g di pasta madre
200 ml di acqua tiepida
farina mista riso e semola rimacinata qb
sale qb
olio di semi di mais bio per friggere
 

Preparare la pastella almeno 3 ore prima, sciogliendo la pasta madre nell'acqa tiepida e aggiungendo le farine sbatendo con una frusta. La pastella deve essere abbastanza liquida, ma sollevando la frusta deve rimanere abbastanza attaccata.Coprire con un piatto e lasciare attivare la fermentazione a temperatura ambiente per almeno 3 ore. Si può lasciare anche la notte intera in frigorifero. 

Scolare il tempeh e tagliarlo a cubotti, poi passarlo nella farina di riso. 
Sciacquare delicatamente i fiori, in una bacinella di acqua fredda e bicarbonato. Lasciarli scolare bene.

Scaldare l'olio con un pezzo di alga kombu (facoltativo). Quando è caldo, provare con un pezettino di tempeh: se risale in pochi secondi, è caldo abbastanza. Iniziare a friggere il tempeh, che non avendo pastella lascerà l'olio più pulito. Scolare man mano che i pezzi diventano marroncini.
Cominciare con i rametti di sambuco intinti nella pastella che va salata all'ultimo momento. Scolarli bene, la pastella non deve essere eccessiva, altrimenti sparirà tutto il profumo delicatissimo del fiore.

Mangiare subito, consiglio di iniziare con i fiori: il gusto è più delicato e si raffreddano prima. 








 

venerdì 10 aprile 2015

Veg&Beer #4: noodles con funghi shiitake e tofu affumicato

La Pasqua non fa in tempo a sparire da dietro l'angolo, che nella mia testa è già pasato remoto... mentre sgomitano e fremono le novità: nuovi corsi di cucina, nuovo quasi-lavoro, nuove semine nell'orto, nuovi vestiti (dopo una decina d'anni, rifaccio l'armadio vah!), pulizie di primavera, nuovi propositi (manco fosse capodanno!)... Ma chi resiste al ritmo della primavera, che scorre così incessantemente anche dentro di noi?? Un'energia che sale, tutta nuova, impaziente di esplodere in quella che sarà l'estate.
Si diceva mica "Aprile dolce dormire"?? ...una cippa! Altro che letargo, sono iperattiva, se potessi aggiungerei un giorno alla settimana e due-tre ore alla giornata.


A proposito di novità, oggi vi propongo la nuova puntata di Veg&Beer: tutta orientaleggiante e scoppiettante, decisamente in tema con questa primavera che ci sta piacendo sempre di più! 
Il piatto che vi presento si compone di ingredienti tipici giapponesi e asiatici, ma si sposa (daddioh!) con una italianissima birra dei nostri amici di Montemurlo

lunedì 6 aprile 2015

Please, don't call it "vegan Pastiera"!

Eccoci: dopo tanti dire e fare per la sacrosanta salute della famiglia, vi propongo una bomba di questo calibro! Per di più, imitazione di un'originale difficilmente -inutilmente- imitabile. Parliamo di pastiera, ovviamente.

Non amo trasformare in versione vegan ciò che nasce come espressione della tradizione di un certo popolo in un certo contesto storico-sociale. E neppure mi piace il neologismo abusatissimo "veganizzare". Tuttavia, quando cucino i dolci non li faccio quasi mai per me. Penso agli altri e a cosa potrebbe far loro piacere, penso che questi concetti siano molto/troppo complicati per chi non abbraccia uno stile di vita simile al mio, penso che forse per una volta si possa seppellire l'orgoglio con una punta di saccenza, tipico di chi come me sa di saperci fare quando si tratta di cucina e salute. 

Per una volta, quindi, propongo un surrogato, brutta-ma-buona-copia di uno dei dolci meglio riusciti al mondo... ma, perfavore: non chiamatela pastiera vegan!



Per me il concetto di Pasqua è vuoto, ma non quello di pace e di rispetto di tutti. Perciò, con questo dolce indefinito auguro buona pace a tutti: a chi mi è vicino e a tutti i viandanti curiosi che passano di qua ;)



Le dosi sono all'americana: utilizzo la stessa tazza per tutte le misure.

Dolce "di Pace"

(don't call it "vegan Pastiera"!)

 

Per la base:

1 T farina di farro integrale
1 T farina 2
1 T farina 0
1/3 T latte di riso
1/2 T olio di semi di girasole
1/2 T malto di riso
la scorza di mezzo limone grattugiata
un pizzico di sale

Per la farcia:

500 g bulgur integrale cotto in acqua e poco sale
1 T latte di riso
200 g tofu al naturale
1/2 T malto di riso
1/4 T acqua di fiori d'arancio
1 c raso di pisto
la scorza di mezza arancia bio
1 c di agar agar in polvere
2 C di kuzu o arrow root
un pizzico di sale


Preparare prima la farcitura. Io ho preferito usare il bulgur, che assomiglia motissimo al grano cotto, ma cuoce in molto meno tempo, cuocendolo per assorbimento con meno sale del normale. Pesarne 500 g e metterlo in un tegame con 1 tazza di latte di riso e un'altra mezza tazza d'acqua. Portare a cottura e abbassare il fuoco al minimo, finché il cereale non assorbe quasi tutto il liquido (deve restare cremoso). Trasferire in un contenitore e lasciare intiepidire. 

Per la base, come sempre si miscelano le polveri e a parte i liquidi, fare un buco nelle farine e  versarli. Iniziare a mescolare  con una forchetta, poi a mano. L'impasto deve risultare più morbido della classica frolla, altrimenti risulterà troppo secco e duro, non essendoci burro. Stendere aiutandosi con 2 fogli di carta forno, fino ad ottenere uno strato di circa 3-4 mm di diametro. Oleare e infarinare uno stampo da pastiera o da crostata, rivestire con la pasta e tagliare l'eccesso. Impastare di nuovo gli esuberi, tirare e ottenere le strisce. 

Per terminare la farcia, frullare tofu, malto, sale, acqua di fiori d'arancio, pisto (o cannella), kuzu e agar agar. Tritare al coltello molto finemente la scorza di mezza arancia bio (solo la parte arancio) e aggiungerla. Versare il tutto nel bulgur ormai tiepido e mescolare. 

Farcire la torta, decorare con le strisce e richiudere i bordi. 
Cuocere in forno caldo a 160° per circa 45 minuti.
 









lunedì 30 marzo 2015

Panini di riso al vapore con Fiordifrutta alle corniole

Si chiamano "buns" nei paesi anglosassoni, ma esistono praticamente in tutte le culture gastronomiche. Sono i panini conditi, quelli che appagano il palato di grandi e piccini come poche altre pietanze, insostituibili come merende di pomeriggio o della ricreazione (per quanto mi riguarda, attendevo con ansia il DRIIIIIIN delle 10 di mattina che nella mia testa ancora associo a panino al latte farcito di marmellata fatta in casa). 



Oggi, con svariati "senni di poi", non mi fanno più gola. 
Ormai avverto l'odore della farina bianca come quello di burro e zucchero a metri di distanza dai prodotti da forno. Sarà anche che vivendo sopra a un fornaio, in questi anni ho affinato il fiuto. La farina "00" è nota per essere "il più grande veleno della storia", riprendendo un celebre discorso del dott. Berrino
No, non esagero. Si tratta di polvere morta, senza alcuna sostanza nutritiva per l'organismo, capace di rimanere su uno scaffale del super per 10 anni senza cambiare assolutamente nulla della propria sostanza. L'uomo non l'ha mai mangiata prima del '900, il secolo delle guerre mondiali, ma anche delle epidemie di cancro, delle malattie autoimmuni e delle anomalie genetiche. 
Non ho l'erudizione né l'autorità per approfondire questa correlazione, ma trovo utilissimo continuare a ribadirlo e parlarne non appena mi si presenti l'occasione, e devo dire che trovo sempre qualcuno che si interessa all'argomento (e menomale!).
Zucchero? Stessa storia. L'alimento più raffinato che esista al mondo, non ve n'era alcuna traccia prima dell'industrializzazione, prima del dilagare dell'obesità, del diabete e dell'osteoporosi.

Sui derivati animali, non apro nemmeno la parentesi, sarebbe enciclopedica.

Preferisco parlare della cottura che ho scelto: il vapore. Da quasi un anno mi dedico alla cottura del pane a vapore, che è molto utile per arricchire la dieta quando è necessario eliminare la cottura  al forno, soprattutto delle farine, per sciogliere gli indurimenti che affliggono organi, tessuti e in generale per la mancanza di elasticità nel corpo. 

Per ora con la teoria mi fermo qui: vi propongo una versione vegana e cotta a vapore dei decantati buns, o panini al latte. Ho scelto la farina di riso perché volevo ritrovare sapore e consistenza dei manju giapponesi, farciti con carne o con azuki dolci, di cui mi sono innamorata al primo morso! I panini sono personalizzabili con l'uso di diverse farine, confetture, uvette, noci, semi, e chi più ne ha!


Rice steamed buns
alias: Panini di riso al vapore

con Fiordifrutta alle corniole


70 g di pasta madre rinfrescata
150 g di farina di riso integrale
100 g di farina 2
2 C di margarina autoprodotta (in alternativa, 35 g di olio di semi di girasole)
2 C di malto di riso
200 ml di latte di riso
acqua qb 
un pizzico di sale



Sciogliere la pasta madre nel latte di riso tiepido in cui si è già sciolto il malto. Lasciare attivare il lievito per 15 minuti. Aggiungere metà delle farine e impastare con un cucchiaio, poi aggiungere la margarina e amalgamarla, infine il resto della farina. Impastare a mano, inserire il sale e valutare se l'impasto richiede altro liquido (nel mio caso ho aggiunto qualche cucchiaio di acqua), a seconda delle farine utilizzate. La consistenza dovrà essere molto elastica, simile aquella per la pizza, ma non appiccicosa. Ungere una marmitta in vetro o in ceramica e conservare la "palla" coperta da pellicola in un luogo tiepido e al riparo da correnti, per circa 1 ora. Trascorso il tempo, riprenderlo per applicare le pieghe a raggio e rimettere nella marmitta a lievitare per circa 3 ore.

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Raddoppiato l'impasto, riprenderlo e tagliarlo per ottenere dei panini di circa 70 g l'uno, stenderli con le mani e farcirli con un cucchiaino di Fiordifrutta. Richiudere i bordi e dare la classica forma tonda, lavorando solo con i polpastrelli (non fare ruotare la pallina fra i palmi). Posizionare nel cestello per la cottura a vapore, distanziate di almeno 2 dita l'una dall'altra. Coprire con coperchio e tenere al riparo da correnti per un'altra ora.
Portare l'acqua a ebollizione. è possibile aromatizzarla per dare ai panini un profumo particolare, ma nel mio caso hanno già un gusto singolare.
Una volta preso il bollore, posizionare il cestello e tenere coperto per circa 30 minuti.
Lasciare raffreddare completamente senza coperchio prima di staccarli dal cestello.








venerdì 20 marzo 2015

HELP! Blog fuori servizio!

Mi sono arrivate segnalazioni nelle ultime settimane, riguardanti malfunzionamenti del mio blog: chi non vedeva i miei aggiornamenti, chi non riusciva a commentare... e l'altro giorno l'ultimo guaio: la scomparsa totale dei commenti! Sto cercando di capire il motivo, non so quanto mi ci vorrà per risolverlo. Ovviamente ce la metterò tutta per rimediare, ma nel frattempo, se volete comunicare con me, potete scrivermi. Se avete avuto lo stesso problema, vi prego -vi supplico!- di illuminarmi, perché ora come ora brancolo nel buio...

Non vi lascio a bocca completamente asciutta: io esisto anche nel mondo reale eh, con o senza commenti continuo a cucinare, come prima e più di prima! Ecco uno sfizioso antipasto con pochi ingredienti, ma dagli splendidi colori. Adoro il sedano rapa, anche se ha un brutto nome -non trovate??- è ottimo in tutte le salse, ma in particolare mi piaceaccompagnarlo con sapori agrodolci, agrumati e asprigni, come ho fatto qui con la mostarda di clementine. E torno a proporlo con un agrume, la combava, che viene dal Madagascar e si può trovare in polvere.

Crema tiepida di sedano rapa alla combava
con pane di segale

250 g di sedano rapa pulito
200 ml di latte di soia autoprodotto
2 C di olio di semi di girasole
sale qb
1/2 c di combava in polvere SDSpezie
4 fette di pane di segale integrale Pema
fettine d'arancia per decorare

Tagliare il sedano rapa a tocchetti e preparare un leggero soffritto con l'olio e mezzo bicchiere d'acqua. Salare e lasciare stufare finché l'acqua viene assorbita. Aggiungere il latte tiepido poco per volta e continuare la cottura. L'importante è che sia latte di soia senza zucchero né altri dolcificanti o aromi! Aggiungere la combava prima di frullare il tutto, quando il sedano rapa è morbido. Mentre la crema intiepidisce, tagliare a triangoli il pane di segale e preparare qualche fettina d'arancia. Versare la crema nei bicchierini e decorare con pane e arancia.



venerdì 13 marzo 2015

Cremoso di ceci e santoreggia, broccoli e olive nere

...avrei dovuto intitolare la ricetta "quando l'hummus stroppia...". 
Dovete sapere che sono una mangiatrice di hummus abbastanza folle. Nel frigorifero dimorano stabilmente montagne di questa favolosa purea di ceci. Da quando mi autoproduco la tahina, poi... 
"C I A A A O proprio" , detto in meneghino.

Si dà il caso che l'altro giorno, intenta nella preparazione dell'ennesimo hummus, mi sia ritrovata una quantità immensa di ceci cotti e frullati -quantità reggimento mode ON- e per quanto a casa mia due bocche bramose facciano quasi un plotone, l'hummus è un piatto freddo e non mi andava di mangiarlo per 5 giorni di fila. 
Così nasce la crema di ceci e santoreggia, da servire tiepida o calda con dei magnifici broccoletti comprati al bio. 
Due gusti a partire dalla stessa base: Italia vs Medioriente a confronto... a parità di gusto, vince l'assaggiatore!


Cremoso di ceci e santoreggia
con broccoli e olive nere


1 tazza di ceci lessati in acqua e kombu
4 cucchiai di olio extravergine d'oliva Dante 
1 spicchio d'aglio
un pizzico di santoreggia essiccata
sale e pepe qb
1 tazza di broccoletti scottati al dente
6-7 olive nere cotte al forno
3-4 capperi dissalati






In una padella antiaderente scaldare l'olio con lo spicchio d'aglio. Quando sfrigola aggiungere mezzo mestolo di acqua di cottura dei ceci, salare, aggiungere la santoreggia e lasciare insaporire per 2 minuti. Mettere l'aglio da parte e versare il liquido nella bocca del mixer insieme ai ceci lessati e al pepe. Frullare il tutto e ottenere una purea cremosa. Se necessario aggiungere dell'altro liquido di cottura. Nella stessa padella, rimettere l'aglio, aggiungere un goccio d'olio, i capperi, le olive nere e scaldare. Ripassare velocemente i broccoletti. Impiattare prima la purea di ceci, poi i broccoli ripassati.





venerdì 6 marzo 2015

Tortine al té matcha e mandorle salate caramellate

4 marzo 2015: un altro compleanno che scivola via. Come la domenica, come le vacanze in montagna, e come tutte le cose belle che trascorrono in un soffio di vento.
Non ho mai amato rivolgermi al passato con espressioni del tipo "In tutta la mia vita non ho mai fatto/detto/provato...", perché credo proprio che leggendole qualcuno possa -ad ragionem- burlarsi di me e della mia freschissima stagionatura. Diciamo che non sarò più una robiolina, ma al massimo posso considerarmi una caciottina fresca.
Quindi niente più frasi di circostanza sul tempo che fugge.
 
Una cosa però non si può negare: collezionare compleanni implica una crescente difficoltà di ricordare ciascuno di quei giorni di festa. Che cosa ho fatto l'anno scorso? Siamo stati fuori a cena? Che torta avevo preparato quella volta? C'era anche mia sorella quell'anno? Cosa mi aveva regalato Merlino?
Forse è proprio questo che mi turba nell'inesorabile trascorrere del tempo: dimenticare le cose belle. Piccoli gesti che mi avevano reso felice in particolari momenti, ma anche ciò che non avrei dovuto dire o fare in una certa situazione, per non ripeterlo una seconda volta.
 
Confesso di essere molto legata ai ricordi. Posso dire che vivo di ricordi. Non solo quelli visivi, ma anche  olfattivi, tattili e, ovviamente, gustativi. Nella mia testa di caciottina fresca sono tutti legati in un mélange, dove qua e là mi tocca riempire i solchi lasciati dalla memoria che vacilla. In questo lavoro filologico il blog mi aiuta molto. Mi piace rileggere i post di anni fa, ritrovare quella me stessa di allora e sorridere nel constatare che i problemi si sono volatilizzati, oppure sono cambiati... credo che sia un ottimo deterrente per prevenire le ansie sul futuro. Che -almeno quello- sempre incerto è rimasto...!
 
 
...e indovinate qual è l'altro modo per sconfiggere l'ansia sul futuro??
 
 
Tortine al té matcha e mandorle salate caramellate
 

Per 6-8 tortine

150 g di farina 0
50 g di farina 2
2 C di té matcha
200 ml di latte di riso e mandorle
60 g di malto di riso + 1 C
1/2 bustina di cremor tartaro
1 C di aceto
25 g di olio di semi di girasole deodorato
un pizzico di sale
 
 
 
Setacciare le polveri tranne il té. A parte, versare in una scodella l'olio, il sale e il malto. Sciogliere il té matcha in un goccio di latte caldo, aggiungerlo ai liquidi. Versare nella terrina con le farine e mescolare velocemente, versando il latte di riso e mandorle poco alla volta. Il composto deve risultare fluido ma non troppo, più denso della pastella per le crepes. In ultimo, aggiungere l'aceto. Non mescolare troppo, riempire i pirottini fino a 1 cm dal bordo. Pestare grossolanamente le mandorle salate, cospargere la superficie e aggiungere una punta di malto sopra, che servirà per caramellarle. Se le mandorle affondano, il composto è troppo liquido.
Infornare a 160° per circa 20 minuti. Fare la prova stecchino.









giovedì 26 febbraio 2015

Pasta al finto pomodoro: una rivoluzione

Oggi, niente cucina curativa, occasionale, di magro, festaiola, strampalata. 
Oggi solo pasta al sugo. Dico solo fra 10 virgolette, per tante ragioni che a una prima occhiata non saltano certo all'occhio. A prima vista, non direste mai che questo sia un piatto r i v o l u z i o n a r i o ... eppure è così!


Innanzitutto, questo che vi propongo qui è un finto sugo, tutto invernale, così da ingannare l'occhio (e in certi casi, pure il palato!) e appagare quella voglia di classici piatti caserecci, che poco si scorgono fra le pagine virtuali dei foodies e oramai anche sulle nostre tavole con le tovaglie a scacchi bianco-rossi. 
Da un lato, devo proprio dirlo: meglio che siano occasionali questi sughi lussuriosi unti e bisunti, perché che siano di pelati o si passata, resta il fatto che il pomodoro è un frutto (ebbene sì, è un frutto!) tropicale (vi ricordate? Cristoforo Colombo... 1492...??), quindi la sua stagione è estiva, oltre ad essere una solanacea
Ovviamente, non mi tiro indietro se occasionalmente c'è da fare/mangiare una buona pizza con lievito madre, che senza pomodoro perde il suo perché. Ma, appunto, sono casi isolati.


In secondo luogo, e questa è la vera rivoluzione, gli ingredienti sono del tutto non-convenzionali: sono il frutto del duro lavoro e di una passione, quella per la naturalità, la sostenibilità e, ovviamente, la qualità. Altromercato ha lanciato da poco questa linea di prodotti del Solidale italiano: dalla pasta al vino, perfino squisite mandorle siciliane e birre artigianali (che presto impiegherò nella mia rubrica Veg&Beer), sono tutti prodotti nel rispetto delle materie prime, dei lavoratori e dei consumatori.
http://www.altromercato.it/solidale-italiano/il-manifesto/integrale
Carceri, cooperative sociali, terreni confiscati alle mafie, coltivazioni biologiche, sono solo alcuni dei fattori che rendono unico questo splendido progetto.
Infine, ma non meno importante, il gusto pieno e intenso di questi prodotti, di cui le giovane generazioni non hanno purtroppo memoria, ma anche quella dei più agés fa forse fatica a recuperare, diluita da troppi cibi insapore e senz'anima, rendono il pasto quotidiano un'esperienza più unica che rara, sicuramente autentica.


Pasta integrale al finto pomodoro

(sugo rosso di barbabietola e lenticchie)

1/2 barbabietola cotta a vapore
1 carota
1/2 cipolla
1 spicchio d'aglio
1 pezzo di sedano
1 foglia di alloro
3 cucchiai di olio evo
1/2 bicchiere di vino bianco secco (facoltativo)
1/2 l di brodo vegetale o acqua calda salata
prezzemolo fresco
sale qb


Preparare un trito abbastanza fine di sedano, carota, aglio e cipolla e farle soffriggerle nell'olio. Sciacquare le lenticchie e aggiungerle al soffritto. Lasciare sfrigolare qualche minuto, poi sfumare con il vino e lasciare evaporare. Aggiungere l'alloro e, se piace, anche un peperoncino. Portare a cottura con un mestolo di brodo caldo e lasciare stufare a fuoco medio-basso, aggiungendo brodo man mano che asciuga. 
A metà cottura, inserire la barbabietola tagliata a cubettini e continuare a stufare. In totale, ci vorranno circa 45 minuti. Quando le lenticchie sono morbide, spegnere il fuoco, eliminare l'alloro e frullare velocemente al minipimmer: vedrete che diventerà di un bel colore rosso scuro.
Rimettere in padella. A parte, lessare la pasta. Aggiungere un po' dell'acqua di cottura per mantecare il sugo rosso e impiattare con una spolverata di prezzemolo fresco.

Ribadisco, un sugo così può ingannare non solo l'occhio, ma anche qualche palato! Funziona anche senza le lenticchie, ma così è più appagante, anche con quelle rosse va benissimo. Per aggiustare l'acidità, se proprio vogliamo farla sporca spacciandolo per pomodoro, io aggiungo un goccio di acidulato di umeboshi (oppure un aceto molto delicato). Se poi usate il basilico... chi vi sgama più!?!






 


mercoledì 18 febbraio 2015

Le prime volte: Frittelle di pasta madre alle mele e alle castagne

Ho quasi 28 anni. Vivo con il mio attuale consorte da più di 3.
In questa casa, complice la scuola di cucina, ho cucinato praticamente ogni sorta di vegetale in ogni salsa, dolce o salata [gli "onnivori" non malignino contro questa affermazione, perché scommetto che in quanto a varietà, in pochi batterebbero un vegan-foodie!].
Eppure, questa settimana c'è stata una prima volta: il battesimo del fritto dolce.

Ebbene sì: non ho mai cucinato le frittelle
Com'è stato possibile tutto ciò? Non ne ho idea.
Ho avuto una triste infanzia? Direi di no...
A casa la mamma non cucinava? Macché, nemmeno questo. Non cucinava quasi mai i fritti, ma nemmeno tofu alla piastra e miglio alla zucca, se è per questo..

Diciamo che sono ancora un po' intimorita dalla tecnica del fritto, che pratico da pochi mesi con una goffaggine raccapricciante (il post precedente è stato un miracolo che meritava di essere immortalato). Il clou della mia pessima performance è il momento dell'immersione: per paura dell'olio bollente lascio cadere il boccone da mezzo metro di altezza rispetto alla pentola, facendo un disastro totale, peggio che tuffarmici dentro. Il tutto condito da un sottofondo di ghigni malefici da parte del consorte, che al contrario vanta decenni di esperienza in fatto di fritti-spazzatura, e che quindi padroneggia pinza e paletta con una certa dimestichezza. E dirò che il grembiule gli dona anche.

Lascio dunque a Merlino la parte della ricetta che considero "ad alto rischio", mentre io mi dedico in tutta tranquillità agli impasti. Che mi sono davero piaciuti!

Ne ho preparati due: uno per le frittelle con mele e uvetta al vino bianco, uno con farina di castagne e latte di soia. Non saprei dire quale delle due sia riuscita meglio, sono molto iverse sia in gusto che in consistenza. Per il mio palato, quelle di mele sono davvero ghiottissime, perché adoro qualsiasi dolce alle mele che sia il più naturale possibile, che ne esalti il sapore (mela cotta, mon amour!).

Inutile aggiungere che la pasta madre regala un gusto che... che... che ve lo dico a fare?!?



Frittelle di pasta madre

impasto con mele, uvetta e vino bianco

dosi per una ventina di frittelle

90 g di esubero di pasta madre
1 mela golden (2 se sono piccole)
100 ml di vino bianco secco
2 C di grappa (facoltativo)
180 g di farina 2
2 C di malto di riso 
80 g di uva sultanina (senza olio di palma)
la scorza grattugiata di mezza arancia
acqua qb
un pizzico di sale


Sciogliere la pasta madre in poca acqua tiepida, aggiungere il vino a temperatura ambiente e il malto, poi scorza d'arancia, grappa. Aggiungere la farinasetacciata, mescolando con la frusta, poi la mela tagliata a cubettini e l'uvetta (non occorre ammollarla). Agiungere tanta acqua quanto basta per ottenere una pastella che scrive. Lasciare riposare in frigorifero tutta la notte, oppure lasciare 2 o 3 ore a temperatura ambiente e poi per un paio d'orein frigorifero. Si toglie dal frigo solo al momento di friggere, dopo l'aggiunta del pizzico di sale.


impasto con farina di castagne

dosi per circa 15 frittelle

90 g di esubero di pasta madre
2 C di malto di riso
120 g di farina di castagne
60 g di farina 2
latte di soia autoprodotto qb
1/2 c di pura vaniglia bourbon in polvere SDS spezie
sale qb

Analogamente, si scioglie prima la pasta madre nel latte tiepido e malto, poi si aggiungono la vaniglia e le farine setacciate sbattendo con la frusta. Aggiustare la densità e conservare in frigorifero. Si sala poco prima di friggere.


 
Per la frittura a immersione (in collaborazione con Merlino...):
versare abbondante olio in un tegame dai bordi alti, arrivando circa a metà dell'altezza del bordo, aggiungere un pezzo di alga kombu e scaldare. Quando inizia a sfrigolare, provare a friggere un cucchiaino di impasto e osservare: se sale a galla in pochi secondi (massimo 15) l'olio è pronto. Non rimuovere l'alga, ma iniziare a tuffare un cucchiaio alla volta, aiutandosi con un altro cucchiaio per staccare la pastella. Man mano che imbruniscono, scolare le frittelle e porle in una terrina di vetro o ceramica già calda, con carta assorbente in gran quantità. Non lasciare mai l'olio senza niente in frittura: nel momento in cui si scola una frittella, si aggiunge una cuchiaiata. In questo modo la temperatura dell'olio rimarrà sempre costante e la frittura uniforme. 


Consigli: 
l'impasto è già dolcificato, sia per la presenza di ingredienti naturalmente dolci (mele, uvette e farina di castagne), sia per l'aggiunta del malto. Consiglio però di non esagerare con questo ingrediente, perché lo zucchero, anche quello naturale, caramellizza e quindi imbrunisce le frittelle, che rischiano di bruciacchiare all'esterno e rimanere crude nel cuore. Per questo motivo, l'altro consiglio è di non fare le cucchiaiate troppo grandi (e parlo per esperienza avuta recentemente :)).

...superata la fritto-fobia, diventerò un'esperta :)








mercoledì 11 febbraio 2015

Veg&Beer #3: Falafel di cicerchie

La nuova puntata della rubrica Veg&Beer (cliccate qua e qua se vi siete persi le prime puntate) torna a trovare gli amici del microbirrificio Badalà di Montemurlo (PO). 

Questa volta, protagonista della degustazione tutta al naturale è la loro biondissima Ge.a, a cui è toccato un classico della mia cucina, con una curiosa variante: le cicerchie. Questa meraviglia di legume è tipico di alcune regioni, fra cui la Toscana, perciò il matrimonio con la "bimba" di Prato è stato quasi obbligato. Ovviamente, non ho potuto fare a meno di deragliare dal binario della tradizione italiana... sono caduta di nuovo nel fusion, che oggi fa trendy: falafel di cicerchie. Qualcuno forse ricorderà che li avevo già proposti qualche mese fa, e sapete anche che qui da me Paganini non ripete , mai... e allora? Cosa succede?

Allora non potevo evitare un piatto così! Un fritto di ottima qualità, per accompagnare una birra così beverina, è davvero l'ideale: un sorso sprigiona profumi intensi e lascia un ricordo amaro, che richiama il boccone croccante e salato al punto giusto, il quale anela un altro sorso dissetante di quel delizioso saporino amarognolo.. e via così, a finire il piatto -assicuriamo io e Merlino. Se tenete al vostro girovita, consigliamo di non fare una montagna di falafel... semplicemente perché è abbastanza improbabile che ne avanzi qualcuno... specie con una birra così in abbinamento!

Ma ecco cosa dice il Mastro birraio della sua bimba:
 
Ge.a
Pale Ale, 5% vol.
Birrificio Badalà - Montemurlo (PO)  

Una “Pale Ale” fresca ma di carattere. Birra chiara ad alta fermentazione in cui luppoli tedeschi ed americani si accompagnano e si fondono in una danza armoniosa insieme al malto.
Il profumo leggermente agrumato invita al primo sorso. In bocca si riconoscono le note morbide del malto, sentore di mandorla e una gradevole nota amara che accompagna al sorso successivo. Beverina, fresca con un pizzico di allegria!



Se volete saperne di più sul birrificio, o vi va di assaggiare la loro gamma estremamente varia, potete visitare il loro sito e ordinare online: http://www.birrificiobadala.it .


A me la parte più mangereccia: ecco la ricetta dei falafel di cicerchie



Falafel di cicerchie
con salsa agrodolce

per 2 persone

180 g di cicerchie secche
1 spicchio d'aglio
1 cipollotto bianco
1 c di spezie miste (coriandolo e cumino)
2 C di semi di sesamo
2 C di prezzemolo fresco tritato
sale qb
un pizzico di bicarbonato
olio di semi di arachidi bio per friggere 

Per la salsa agrodolce:

1 c di senape rustica (con i semi
2 c di shoyu
1/2 limone spremuto
1 c di malto di riso
4 cm di cipollotto tritato



Quando decidete di fare questo piatto, preventivate 2-3 giorni di ammollo, a seconda della stagione, con un pezzo di alga kombu. L'ideale sarebbe quella di lasciare i legumi in ammollo cambiando spesso l'acqua, finché danno i primi segni di voler germogliare. 
Allora, è il momento di frullare tutto insieme, con gli altri ingredienti, eccetto il bicarbonato. Non deve risultare una pasta omogenea, ma abbastanza granulosa. 
Lasciare l'impasto anche mezza giornata in frigorifero, o tutta la notte. 


Prima di iniziare a friggere, aggiungere il bicarbonato e mescolare. In un tegame dai bordi alti, versare circa 1 l di olio e aggiungere l'alga kombu di ammollo ben asciugata. Questo trucchetto è utile sia per lasciare sempre qualcosa che frigge nel tegame, anche quando si scolano le polpette pronte, sia per remineralizzare l'olio. 
Mentre l'olio di scalda, formare velocemente i falafel, della grandezza di una pallina da ping pong. Se sono ancora freddi quando li tuffate nell'olio bollente verranno più croccanti. Friggerne pochi per volta, scolare e riporre in una terrina di ceramica calda con diversi fogli di carta assorbente. 

Servire con della verdura fresca e la salsina agrodolce.