giovedì 22 maggio 2014

Budino di zucca e kuzu con sciroppo di fiori di sambuco

...che ve lo dico a fa'?
è già goduria pura pronunciare il nome degli ingredienti: zucca, latte di riso e mandorla, kuzu, fiori di sambuco.






E dopo il nuovo inquilino del piano alto della dispensa (chiamasi farina di riso glutinoso), stavolta sperimento un'altra conquista giapponese, amico delle preparazioni dolci e salate, ma sempre pappe di ogni sapore e colore: il kuzu.

Ora che Patapata sta diventando una persona seria e si è messa a studiare terapia alimentare, sa che si tratta di un vero e proprio elisir di lunga vita. Oltre a facilitare moltissimo la preparazione di creme, zuppe, budini e quant'altro, evitando di ricorrere in panna, gelatina e altri ingredienti meno salutari (animali o vegetali che siano).
Innanzitutto, ecco cos'è il kuzu:


II Kuzu è una pianta rampicante che cresce spontanea in tutto il Giappone adattandosi ai terreni più poveri, diffondendosi sui pendii delle montagne e difendendone il suolo dall'erosione.
Tale è la forza di questa pianta, che i suoi flessibili rami possono crescere anche di 15 metri in una stagione, mentre le sue radici possono raggiungere i 100 metri di lunghezza. Il Kuzu è infatti una pianta perenne e longeva, in grado di vivere fino a 100 anni. Dato che è una leguminosa, le sue radici ospitano batteri che fissano l'azoto dell'aria nel terreno, fertilizzandolo. In inverno le sue foglie cadono creando humus. In Giappone ci sono numerosi vulcani: dopo un'eruzione, quando la lava si è solidificata, il Kuzu è la prima pianta a crescere sulla superficie spoglia e sterile, rendendola di nuovo fertile con il passare delle stagioni.
Ancora più che alle sue qualità di pianta utile all'ambiente e straordinariamente resistente, il Kuzu deve comunque la sua popolarità all'amido ricavato dalle sue radici, usato da secoli sia come alimento che come rimedio naturale. 

Fonte: http://www.lafinestrasulcielo.it/italiano/lamacrobiotica/lamacrobioticaparte2 


Michio Kushi insegna: se una pianta ha caratteristiche intrinseche tali da poter resistere e vincere le avversità climatiche e del territorio, è decisamente il caso di prenderla in considerazione se abbiamo necessità di rinforzare il nostro corpo. Infatti:

[...] Si deve sapere che la lavorazione del Kuzu di qualità ha luogo durante l'inverno, quando la pianta ha perso le foglie e tutta l'energia e la linfa sono concentrate nelle radici, e che le piante considerate migliori sono quelle che crescono appunto in montagna, rinforzate dalla loro lotta al tempo freddo ed alle avversità naturali [...].  

Il kuzu è uno dei rimedi naturali (antichissimi, in realtà) usati maggiormente per curarsi e prevenire disturbi. Sarebbe più semplice elencare le problematiche su cui non ha potere, piuttosto che enunciare tutti i disturbi che possono essere risolti con questa polverina magica! In genere è legato alla digestione, perciò va benissimo contro acidità, infiammazioni, intestino irritabile e di conseguenza anche per rafforzare le difese immunitarie, che proprio nell'intestino si creano.




Ma un'altra cosa interessante è la consistenza che conferisce quando viene impiegato come addensante: dimenticate l'effetto gelatina e il sapore farinoso di creme e budini vegetali! Certo, va (e fa) benissimo anche l'agar agar, ma se volete evitare la consistenza gelatinosa puntate tutto sull'amico kuzu! Lo trovate in polvere o in tocchi, da polverizzare al mortaio.


Budino di zucca e kuzu
con sciroppo di fiori di sambuco
(senza zucchero né glutine)

per due porzioni

120 g di zucca cotta al forno
200 ml di latte di riso e mandorla bio (senza zuccheri aggiunti)
15 g di kuzu in polvere

4 cucchiai di sciroppo di fiori di sambuco*



*il mio è acquistato, ma ho già trovato un'ottima ricetta per farlo in casa senza zucchero

Frullare la zucca cotta al forno con il latte, conservandone solo un paio di cucchiai.
Mescolare il kuzu con il latte tenuto da parte, creando una pastella liquida. Versare tutto in un pentolino e girare con una frusta. Accendere il fuoco e portare a bollore, poi abbassare e lasciare sobbollire 5 minuti a fuoco bassissimo, mescolando con una spatola.
Spegnere il fuoco e versare nelle coppette. Lasciare intiepidire e trasferire in frigorifero per almeno un paio d'ore. Prima di servire, versare due cucchiai di sciroppo di sambuco sulla superficie di ciascun budino e decorare con qualche fiore.

Sentirete che il budino non necessita assolutamente di alcun dolcificante, grazie alla zucca ("verdura dolce" per eccellenza) e al latte di riso e mandorla. Il kuzu è ovviamente insapore.




giovedì 15 maggio 2014

Made in Japan #3: Kyoto e i miei daifuku mochi



Probabilmente, per esplorare i meandri della gastronomia kyotese non basterebbe un mese di permanenza! 

Appena arrivati, la prima impressione della città non è stata molto positiva. Alloggiavamo a due passi dalla stazione, fra palazzi di vetro, grandi magazzini e semafori “cinguettanti” (solo chi è stato in Giappone può capire..). Nulla in questo quartiere è lasciato alla casualità; perfino per parcheggiare la bicicletta c’è una persona in divisa con i guanti bianchi che ti indica esattamente dove lasciarla; non puoi fumare una sigaretta mentre vai al lavoro: devi fermarti nelle striminzite aree fumatori nascoste dietro un muro. Ora: non che la cosa mi dispiacesse dato che non fumo, però fanno anche un po’ pena certe greggi di tabagisti in giacca e cravatta, che si affrettano a terminare una lucky strike fra nuvole di fumo passivo.


Ma dopo il primo tour nella zona meno affaristica della città, ho subito capito il fascino che attira fiumi di turisti dagli occhi sgranati! La Kyoto antica è semplicemente una favola dai colori pastello e profumi agrodolci, il progresso frena la sua folle corsa ai piedi dell’imponente Kiyomizu-dera, cedendo il passo a sfilate di coloratissimi kimono, lanterne svolazzanti e immancabili ciliegi dai rami carichi di fiori. Da quella terrazza panoramica, oltre le fronde cariche di rosa, i palazzi luccicanti all'orizzonte costituiscono sfide architettoniche insignificanti. 







E percorrendo le stradine su e giù per i templi, brulicanti di sorrisi e occhi a mandorla, si è attratti dalle mille specialità gastronomiche, preparate dagli abili artigiani del gusto proprio lì, davanti a te: dal cracker di riso al dolce di mochi, dal pesciolino fritto sullo stecco al sofficissimo manju a vapore. Ed è proprio quest’ultimo che mi ha conquistato, in una gustosissima variante al macha ripieno di anko!
 
manju di carne e con anko

 …esatto, è proprio così: mi sentivo un cartone animato!

La Kyoto gastronomica trova il suo apogeo nel vortice del Nishiki Market, dove puoi trovare qualsiasi stranezza, assaggiarla, comprarla o semplicemente fotografarla (se riuscite a farvi largo fra la calca famelica). 


radice di bambù, patata dolce (YAM) alla brace, frutta (4000 Y = oltre 30 euro al pezzo!)

pesce crudo sullo stecco


alghe fresche
 
 È il paradiso per gli amanti del pesce: si trova sushi espresso in locali minuscoli, dove la gente si concede un aperitivo a base di pesce crudo e sake.

Ma anche i non-pescivori possono lustrarsi gli occhi! 

dolci a base di mochi

mochi in versione salata con salsa teriyaki

Ovunque in Giappone vanno matti per i cosiddetti pickles (insalatini) che vengono serviti ad ogni pasto, giusto un cucchiaio per stimolare la digestione. Sono in genere radici di ogni tipo, ma anche ortaggi curiosi, che vengono affettati, messi in tinozze di legno insieme a una pasta di sale, pressati e lasciati fermentare. In pratica è quello che si fa in Germania con i crauti, ma qui non ci si limita a un ortaggio… c’è davvero l’imbarazzo della scelta: si trovano perfino i fiori sotto sale!


  

Questa volta concludo con una ricetta-esperimento in tema: i daifuku mochi! Si dà il caso che al mercato abbia acquistato un non meglio identificato farinaceo bianchissimo e dalla consistenza impalpabile; ho provato a far capire al simpatico venditore –che ovviamente non spiccicava una parola in nessuna lingua occidentale- che volevo la farina di riso glutinoso per fare i dolcetti. A quanto pare la mia pronuncia di “mochi” fa pena, dato che il malcapitato non capiva assolutamente che cosa chiedessi, finché con il dito indice ne ho indicato uno in vendita nella bancarella di fianco e ho mimato il gesto di fare le palline e mangiarmele, con tanto di “MMM!” e dito rotante sulla guancia. Insomma alla fine del film muto tragi-comico, mi dà questo pacco di farina, che fino all’altro giorno non sapevo per certo cosa fosse… Ma per fortuna l’ometto simpatico aveva capito bene: ecco i miei daifuku mochi! Bruttini sì, ma per essere i primi, che soddisfazione mangiarseli!

 

mochi classico e daifuku mochi ricoperto di sesamo nero
Si possono realizzare in colori diversi aggiungendo alla farina del macha o del colorante alimentare. Il classico mochi è lo spiedino con 3 piccole palline (bianca-verde-rosa) senza ripieno. Un occidentale goloso non amerebbe questi dolci, abituati come siamo a enormi quantità di zucchero e sapori più che intensi. Pensate che in Giappone il dessert più raffinato e appetibile è della semplice frutta fresca, che si mangia in occasioni più che uniche (anche perché costa un capitale!)! 
Ce ne sono anche decorati, intagliati, a “raviolo”, con sesamo, frutta disidratata etc. Il cake design in Giappone ha sempre il sapore della tradizione: non ho visto nemmeno un cupcake (forse giusto da Starbucks... da cui siamo stati ben alla larga!).






 
Perdonatemi il rimpiazzo dell’anko (la prossima volta prometto di prepararla!) con una Nocciolata italianissima (oltretutto è bio e senza olio di palma!!).


Daifuku mochi
(dolcetti giapponesi di riso “glutinoso” - senza glutine)

 

Per 8 Palline ripiene

 

100 g di farina di riso glutinoso
115 g di acqua naturale fredda
50 g di zucchero a velo (zucchero semolato frullato)
amido di mais qb

Ripieno:
mix cereali senza glutine qb


Preparare prima la farcia: quella tradizionale prevede l’anko, una marmellata di fagioli azuki con l’aggiunta di poco zucchero (in alcuni casi addirittura senza). Il sapore non è stucchevole ma piacevolmente avvolgente, simile a quello delle castagne. Per sostituirla, ho scelto una nocciolata RdA, non troppo dolce, mescolata a un mix di cereali tritati (fiocchi di mais con riso e miglio soffiati) per dare consistenza.


Preparare il mochi in tre fasi:

-          miscelare zucchero a velo e farina di riso, aggiungere l’acqua fredda e mescolare velocemente con la frusta, sciogliendo i grumi. Coprire con pellicola senza pvc e passare al forno a microonde a 500 W per 2,5 minuti. 

-          togliere dal microonde, spruzzare con poca acqua fredda e mescolare con una spatola. A questo punto il composto sarà semi liquido. Coprire e passare ancora al microonde a 500W per 2 minuti.

-          togliere, dare un’altra mescolata. L’impasto inizia a rapprendersi. Non preoccupatevi troppo se c’è qualche grumo, spariranno con l’ultima cottura: passare ancora al micro per 1 minuto.


A questo punto l’impasto sarà ustionante, ma avrà assunto le sembianze di un silicone. Attendete un paio di minuti per lavorarlo con le mani, date una mescolata con la spatola. Prendete una teglia e cospargetela con l’amido di mais, spostare la massa di mochi e stenderla coi palmi, lasciandola molto spessa. Mettetevi la maizena anche sulle mani per lavorare il mochi. Prendetene un pezzo, appiatti telo per ottenere una sorta di disco tondo. Prelevate un cucchiaino abbondante di farcia, appallotolatelo e mettetelo al centro del disco. Chiudetelo facendo aderire i bordi, se necessario bagnateli leggermente, e create una pallina lavorando coi palmi senza fare troppa pressione. Continuate fino ad esaurire l’impasto. 
È più facile a farsi che a dirsi! 

Adagiate le palline appena fatte nella teglia con la maizena. Una volta freddate, riporre nei pirottini. Si conservano a temperatura ambente chiusi in un contenitore. Non ho idea per quanto tempo si conservino, ma non mi porrei il problema ;) 



mercoledì 7 maggio 2014

Pasta di carrube con fave e pesto di carciofi e mentuccia

Torniamo a noi, per un italianissimo pasto, riassunto in un velocissimo post. Insomma, un fast-post-pasto!

A Natale, mia sorella mi ha portato dalla Campania un prodotto a me sconosciuto: la pasta alle carrube. Conoscevo già questo intrigante frutto dalle proprietà miracolose, almeno stando agli esperti nutrizionisti. Ne avevo assaggiato un baccello appena colto dall'albero, precisamente a Matera, qualche anno fa. Il sapore mi aveva letteralmente conquistato: così dolceamaro, persistente e appagante (...e pure calorico, se vogliamo dirla tutta!).

Con i semi si produce una farina che funge da addensante naturale per parecchi prodotti, anche industriali (dai gelati alle creme etc.), spesso celato dietro la scritta Carrube
E410
(della serie "non tutti gli acronimi vengono per nuocere").





Ma la pasta (che contiene la farina del frutto, non dei semi) mi è proprio caduta dal cielo! Io che mangio pasta si e no 2 volte al mese, questa settimana ho già fattoil bis! Non avevo idea di quale sapore potesse avere, perciò ho ipotizzato che si avvicinasse a quello del frutto e ho improvvisato questo piatto ricco, italianissimo, che mette d'accordo tutti: vegani-carnivori-grandi-grandissimi (sui piccini non ho testato). 
E vi dirò: non ho sbagliato poi di molto il bersaglio con questo condimento. A noi è sembrato azzeccato ;)



Pasta di carrube
con fave e pesto di carciofi e mentuccia

180 g di pasta di carrube*

250 g di fave fresche
1 grosso carciofo con gambo
1 spicchio d'aglio
1/3 di bicchiere di vino bianco
2 cucchiai di olio evo
sale e pepe qb
15 anacardi
3-4 foglie di mentuccia fresca

*questa pasta non è glutenfree: sono presenti sia farina di grano duro che farina di carrube.


Preparare il pesto di carciofo: pulire il carciofo eliminando le foglie esterne e la barba interna. Pulire anche il gambo e conservare solo il cuore, meno fibroso. Preparare un soffritto leggero con 1 cucchiaio di olio e l'aglio, buttare il carciofo affettato sottilmente. Sfumare con il vino bianco, cuocere a fuoco moderato avendo cura di bagnare con poca acqua man mano che asciuga. Una volta cotto, lasciare intiepidire. Frullare tutto, anche l'aglio, con olio, anacardi, sale, pepe e mentuccia. Tenere da parte.
In una pentola capiente portare ad ebollizione l'acqua per la pasta, senza salare. Buttare prima le fave fresche e lasciare bollire qualche minuto, poi salare e buttare anche la pasta. Se sono molto piccole, buttare insieme fave e pasta (la cottura per questo formato è di 8-9 minuti). Scolare non troppo al dente e impiattare con il pesto di carciofi.





Ma


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venerdì 2 maggio 2014

Made in Japan #2 Koya-san e la cucina Shojin-ryori

Dopo il ritmo frenetico di Tokyo, ci ritiriamo nel silenzio di Koya-san


Si tratta di un luogo sperduto fra le montagne, nella prefettura di Wakayama, a sud di Osaka. Un luogo di preghiera e meditazione. Importante centro monastico, sede della setta del Buddhismo Shingon, importato dalla Cina. C'è un cimitero, Okunoin, visitabile lungo un percorso di qualche chilometro, che attraversa una foresta di cedri: commovente. Vi sono monumenti funebri di monaci e samurai di importanza storica, legati alla setta Shingon. 


 
I monaci di Koya-san accolgono pellegrini e turisti -per fortuna ancora pochi- nei vari shukubo, ovvero monasteri attrezzati per la loro permanenza. Più che pellegrinaggio, per noi è stata una via crucis: in treno Shinjuku – Tokyo Station, in shinkansen Tokyo - Shin-Osaka (5 ore), in metro Shin-Osaka – Namba, col trenino locale Namba – Gokurakubashi, in funivia Gokurakubashi – Koya-san, e dulcis in fundo pullmino anni ‘70 per arrivare al nostro shukubo. Paesaggio: risaie, montagne e foreste di cedri fitte fitte. Il viaggio di per sé è già un’avventura. Per fortuna da Tokyo abbiamo spedito i bagagli all’hotel di Kyoto, dove avremmo alloggiato nei giorni successivi (la soluzione migliore per viaggiare in Giappone, dove lo spazio vitale è una conquista, anche sui mezzi pubblici!). 







Dopo dopo aver scattato circa un migliaio di foto nel cimitero di Okunoin, siamo entrati nello shukubo togliendoci le scarpe e un giovanissimo monaco apprendista ci ha condotto nella nostra alcova di 3mx3m, dove non si può camminare con le pantofole, ma solo scalzi. Lo stesso monachello poi si è preso cura lui di noi per tutto il tempo della permanenza. Ci ha spiegato subito, in un tenerissimo inglese, come vivono a Koya-san, come pregano e come mangiano. 

I monaci shingon sono vegani, se proprio vogliamo dargli questa etichetta. La cucina dei monaci si chiama shojin-ryori: non usano spezie né pietanze dai sapori troppo forti (niente aglio, cipolla, peperoncino etc.), consumano due pasti al giorno molto sostanziosi e decisamente completi; è compresa perfino la tempura. Ho preso nota di tutto ciò che ci è stato offerto, una lista lunghissima! Davvero un'accoglienza superba, l'ospite è sacro.
Questa cena e la colazione successiva sono stati i pasti migliori della mia vita. Gustandoli, ho davvero pensato che fosse cibo per l'anima! Inoltre, ho potuto finalmente gustare l'anelato tofu di sesamo: il
goma-dofu, entrato subito a far parte della top 10 dei miei cibi preferiti!


 

Ci ha servito tè verde con un manju (dolcino di riso cotto a vapore ripieno di marmellata di azuki). Ci ha regalato il braccialetto per le preghiere e due talismani per proteggerci dai demoni malvagi. Per entrare ancor più in simbiosi con loro, abbiamo indossato la yukata (una sorta di kimono da camera) che per fortuna era bella pesante, dato che faceva un freddo cane! Spifferi a destra e a manca, riparati solo da porte scorrevoli in legno e carta di riso! 

Per fortuna ci ha rinfrancato un fantastico bagno caldissimo nel piccolo onsen – i tipici bagni pubblici, con acqua termale bollente, cui si accede solo completamente nudi, maschi e femmine separati. 
 Fortunatamente, qui non c'erano restrizioni per gli ingressi; infatti in quasi tutti gli onsen, chi è tatuato non può accedere, poiché si ritiene che la sua pelle impura non debba venire a contatto con l'acqua purificatrice. Perfuno nell'albergo di Kyoto, all'interno dell'area "spa" vigeva questo divieto. Poco male: a Koya-san l'atmosfera meritava certamente di più!





La cena è servita alle 18-18.30. Lo stesso monaco porta il pasto in due volte.. sono un mucchio di ciotoline! Sono preziosamente contenute in due scatoline di legno, che vengono poi utilizzate a mo’ di tavolini. Le dispone con cura, le ruota persino nel senso giusto. C’è un senso in ogni cosa, perfino nella disposizione dei piatti, e ogni pietanza facente parte dello stesso pasto deve essere cucinata in un modo diverso dalle altre. La presentazione è già un’esperienza sensoriale fortissima. Inutile dirvi che i sapori erano più che sublimi... Non c'è un ordine preciso nel mangiare. È davvero buffo vedere i giapponesi spizzicare qua e là con le bacchette!
 
L'elenco completo delle "portate" della cena, ore 18:

- riso in bianco
- brodo con yuba e boccioli di fiori
- goma-dofu* con salsa di soia e una puntina di wasabi
- radice amara cotta in salsa di soia dolce con glutine a forma di rotella
- tempura di verdure (peperoncino verde, pannocchietta, radice di loto, patata dolce, zucca, melanzana, okra, un paio di steli con infiorescenze, non pervenuti) servita con sale verde
- insalatina di alghe, cetrioli e fiore viola all'aceto
- pomodoro in guazzetto dolce (sapeva di marsala!)
- insalatina di cetrioli e daikon all'aceto
- tofu di soia con radice di bambù, fungo shitake e rotella di glutine
- erba selvatica tipo tarassaco appena scottato con senape leggera
- té verde
- arancia



 

* gli ingredienti del goma-dofu (nella foto la ciotolina in basso a sinistra) sono semplicemente sesamo, acqua e kuzu. Ho acquistato il kuzu nel paese e mi cimenterò presto nella tofu-genesi col sesamo invece della soia!


 

Addormentarsi a pancia in su sul futon è stata dura (il futon è felpatissimo, bello peloso); in compenso poi ho ronfato alla grande e nemmeno un dolorino alla schiena! Sveglia alle 5.30 per la cerimonia del fuoco e la preghiera agli antenati. Poi in camera ci attendeva già la sostanziosa colazione delle 6.30:


  
- riso in bianco
- brodo di miso bianco con wakame e boccioli
- tortino freddo di tofu con poche verdurine in un brodino dolce
- alghe hijiki marinate al sesamo con umeboshi
- radice (forse bardana) marinata in salsa di soia dolce
- okra in salsa di sesamo
- alga nori-snack con salsa di soia
- té verde


E siamo riusciti a finire tutto, sia a cena che a colazione. Pieni sì, ma leggeri in spirito!


Con questa leggerezza nel petto e serenità nella testa, non poteva non materializzarsi davanti a noi un'entità spirituale... e che entità: Sua Entità!!






 ...un'avventura inaspettata, meravigliosa, irripetibile.